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Thursday, May 16, 2013

Lo scoppio di Cortemaggiore - 67 giorni di fiamme



"Sorry, mister Mattei. Fatto il possibile. 
Questa volta non si può, penso che lei ha un nuovo Vesuvio"


Ecco qui un altro pozzo esploso in Italia - anzi due - di cui non si sa niente - Cortemaggiore,  1950.

Il primo scoppio nell' Ottobre del 1950, presso il pozzo 18, causo' un incendio che duro' 24 ore, mentre il secondo scoppio, del pozzo 21, nel Dicembre 2010 fu domato solo dopo 67 giorni di fiamme.

Sessantasette giorni.  
Cortemaggiore, pozzo 18 - Ottobre 1950

 Cortemaggiore, pozzo 21 - Dicembre 1950

L'incendio duro' dal 1 Dicembre 1950 al 6 Febbraio 1951

Per il pozzo 18, il primo dei due, si stima che circa 15 milioni di metri cubi di idrocarburi vennero persi e dovette intervenire Miron Kinley, il domatore americano dei fuochi che sarebbe poi venuto a spegnere anche il fuoco di Ragusa, nel 1955.

L'altro scoppio, quello del dicembre 1950, fu molto piu' grave - un vulcano di fiamme, 100 metri di altezza, fiamme che divamparono per oltre DUE MESI, un cratere di 100 metri di diametro alla fine, oltre 60 milioni di metri cubi fra petrolio e gas, e neanche Kinley che riesce a spegnerlo!

Il "24 Ore" (che successivamente si uni' a "Il Sole" per dare vita al Sole 24 Ore) commenta cosi:

"Hanno affrontato l’incidente con prontezza e con competenza: hanno infatti inviato un cablogramma a Mr. Kinley in Oklahoma, specialista in spegnimenti di pozzi, e Mr. Kinley è già al lavoro.

Si obietterà: sono incidenti che occorrono a tutti: lo prova il fatto che gli USA hanno un Mr. Kinley specialista in spegnimenti. Ma gli americani telegrafano a Mr. Kinley una volta ogni mille pozzi, mentre quelli dell’Agip dovrebbero costruire una villa nella zona e tenervi ben curato e ben nutrito lo specialista dell’Oklahoma dal momento che su quaranta pozzi ne sono già saltati quattro."

L'istituto Luce mostra le immagini che si possono vedere da questi link:

Esploso un pozzo di petrolio a Cortemaggiore. 13/10/1950 - 00502.

Almanacco del mondo. Esplosione a Cortemaggiore. 07/12/1950 - 00525

Cercando in internet, fra le poche cose che sono riuscita a trovare e' stato questo, il ricordo avvincente del cronista dell'epoca e queste foto dalla pagina Facebook di Salvatore Ciccorelli. Ce ne sono molte altre a questo link.

Ovviamente, se uno va su Wikipedia non trova neanche un rigo di questa storia.

E se uno va sui siti del Ministero?

Ecco qui:

Cortemaggiore 018 - esito sconosciuto 

Cortemaggiore 021 - esito sconosciuto

Esito sconosciuto. Si vede che 67 giorni di fiamme e un cratere di 100 metri di diametro non gli sono bastati.












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Piacenza Economica  - Marzo 2009

Il 3 ottobre del 1950 si verificava, a Cortemaggiore, un primo incidente con l’eruzione del pozzo n. 18, situato ad un tiro di schioppo dalla borgata, in un campo vicino alla cascina «Passera».

Il pozzo stava per essere attrezzato per la produzione quando, alle ore 13,45 - forse per colpa di una valvola che si era guastata - con un gran rombo, dal tubo di circa 12 centimetri di diametro, sgorgava violento ed altissimo un getto di gas e di fango.

Un operaio di Cortemaggiore, il sig. Oreste Filiberti di 38 anni, veniva proiettato ai piedi della scaletta del basamento sul quale era stata innalzata la torre di perforazione alta sessanta metri ma,
fortunatamente, riportava solo lievi lesioni.

Per un testimone inesperto come chi scrive - che si era recato subito sul posto - lo spettacolo era allucinante. Il gas, misto a gasolina e a sabbia, usciva ad una pressione di circa 150 atmosfere con un sibilo assordante, provocando una nube grigia. Tutto intorno si respirava gasolina e coloro che si avvicinavano erano costretti a bendarsi il capo (per evitare bruciaturesulla pelle ed irritazioni agli occhi) e ad infilarsi nelle orecchie cilindretti digarza imbevuti di vaselina bianca filante americana (per poter sopportareil terribile sibilo).

Dagli Stati Uniti venne chiamato mister Miron Kenley, il più noto ed abile «fire fighter», domatore d’eruzioni. Lo ricordo come un uomo aitante, sulla cinquantina, rosso di carnagione e con una gamba artificiale che sostituiva l’arto perduto in un incidente vicino ad un pozzo di petrolio.

Ma anche il pompiere dei pozzi - intorno al quale noi giornalisti esercitammo inevitabilmente la retorica dell’epoca - ebbe il suo daffare prima di riuscire a collocare sul tubo esterno del pozzo un manicotto d’acciaio con doppia serie di valvole.

Alle ore 15 del 27 ottobre, dopo 24 giorni, l’eruzione veniva domata e, come d’incanto, sulla pianura tormentata da quel sibilo colossale, tornava il silenzio.

Forse si erano perduti 15 milioni di metri cubi di idrocarburi.

Ma i guai non finivano lì. Il Natale del 1950 fu illuminato, nella zona di Cortemaggiore, non dalla leggendaria stella cometa, ma da una fiamma, una specie di enorme torcia, alta una cinquantina di metri, che scaturiva dal suolo e che era visibile a decine di chilometri di distanza.

Alle ore 3 del 1° dicembre 1950 si era infatti incendiato il pozzo n. 21 di Bersano di Besenzone, nel giacimento metanifero di Cortemaggiore.

Gli operai addetti al pozzo avevano sentito alcuni violenti sussulti ed avevano fatto appena in tempo a mettersi in salvo prima che si verificasse una terribile esplosione ed iniziasse la fuoruscita del gas. Pochi minuti dopo avveniva un altro scoppio, di minore intensità, e la colonna di gas s’incendiava.
Probabilmente un pezzo dell’asta metallica, scagliata contro il traliccio della torre di perforazione, aveva provocato una scintilla e quindi l’incendio.

Per il calore - qualcuno parlava addirittura di 1300 gradi - l’incastellatura d’acciaio del pozzo veniva letteralmente fusa. Già a 150 metri di distanza la temperatura era insopportabile. L’esplosione aveva mandato in frantumi i vetri delle case della zona ed anche quelli di alcune finestre più lontane,
persino nella zona di San Giorgio. Quella enorme colonna di fuoco che  s’innalzava verso il cielo forniva un colpo d’occhio memorabile.

E chi scrive - per ragioni di vicinanza certamente il primo giornalista ad arrivare sul posto - riuscì a scattare, utilizzando un filtro giallo, delle foto che rimasero storiche, nelle quali la grande lingua gialla di fuoco si stagliava contro l’azzurro cielo invernale. Più tardi, infatti, il cielo sarebbe diventato
nuvoloso e sarebbe caduta anche la neve.

Subito dopo l’incendio si bloccava il traffico sulla via Emilia perché chi passava voleva fermarsi per godere di quell’inconsueto spettacolo. Nei giorni successivi, a Cremona, fu necessario chiudere l’accesso al Torrazzo perché la gente vi si affollava per vedere dall’alto l’eruzione di quel piccolo vulcano alimentato quotidianamente da circa un milione di metri cubi di idrocarburi liquidi e gassosi.

Mister Kinley, lo specialista dei pozzi in fiamme, - che stava navigando verso gli Stati Uniti - veniva richiamato d’urgenza e, in aereo, veniva riportato in Italia.

Ce la metteva tutta, giovandosi di attrezzature speciali fatte arrivare in gran fretta dall’America, ma stavolta la fiamma era più grande e più forte di lui. Dopo una decina di giorni il pompiere dei
pozzi petroliferi dava  forfait e ripartiva alla volta di altri pozzi da spegnere in altre parti del mondo, accomiatandosi con un laconico telegramma:

”Sorry, mister Mattei. Fatto il possibile. Questa volta non si può, penso che lei ha un nuovo Vesuvio”. Insomma “ciao e state bene”.

La fiamma che si alzava, sempre altissima, dal pozzo n. 21 Bersano di Besenzone, era ormai diventata oggetto delle più velenose ironie da parte dei nemici - e non erano pochi - di Enrico Mattei. Sembrava quasi che quel fuoco fosse destinato a distruggere tutte le speranze dell’Agip.

Intorno al luogo dell’eruzione si era formato un cratere del diametro di più di trenta metri, destinato
gradualmente ad allargarsi finché, alla fine, sarebbe arrivato ad 80-100 metri.

Si era in dicembre e, come ho detto, faceva piuttosto freddo. Ma il calore sviluppato dalla colonna di fuoco era tale che, nei campi circostanti, il trifoglio nacque come se fosse primavera e addirittura il frumento incominciò a svilupparsi fino a mettere la spiga.

La fiamma scaturiva naturalmente dalla profondità del cratere tanto è vero che incominciò a bollire l’acqua dei pozzi vicini che poi finirono per prosciugarsi.

In questa situazione estremamente difficile sia sotto il profilo tecnico che sotto quello politico, trionfò ancora una volta – e, gente!, non è retorica il ribadirlo - il cosidetto “genio italico”. Quei tecnici dell’AGIP vilipesi da una parte della stampa e dagli avversari di Mattei, accusati di inefficienza e di incapacità, ebbero una“pensata”, apparentemente pazzesca, ma che si rivelò vincente.

Decisero di costruire un pozzo inclinato, ad un centinaio di metri da quello in fiamme, per
raggiungerlo in profondità e tagliare quindi l’afflusso del combustibile. Un’impresa ardua ma che, grazie alla testardaggine ed alla capacità di quei pionieri, venne portata a termine felicemente sia pure tra mille difficoltà.

Alle ore 7,10 del 6 febbraio 1951, 67 giorni dopo l’incendio, la fiamma della grande torcia si abbassava, tremava, si spegneva. Il pozzo n. 21 era domato.

Sul fondo del cratere, profondo una quindicina di metri rispetto al livello dei campi, si formava un laghetto d’acqua. Tra gas e gasolina erano bruciati, in più di due mesi, circa 67 milioni di metri cubi di idrocarburi.

4 comments:

Anonymous said...

Queste cose me le aveva raccontate mia madre, che abitava proprio lì, e anche lei ricordava il grano cresciuto in inverno: ma io non sono mai riuscita a trovare nulla.

Però aggiungeva che la notte non esisteva più perchè ci si vedeva come di giorno e che tutti gli animali erano spaventati e intrattabili.

Lei no. A domanda rispondeva di non avere avuto paura e che in ogni caso a cosa sarebbe servito aver paura? "La me ragasa, nuatar pudivan mia fag gninta" (bambina mia, tanto noi non potevamo mica rimediare)

maria rita said...

grazie della testimonianza - queste cose sono importantissime e neanche solo per il petrolio, ma per la storia. perche' non mi racconta meglio questa cosa, e la pubblico? chieda a sua mamma o a chi ancora ricorda - di piu - sensazioni, cosa dicevano alle persone etc etc. grazie ancora! MR

Anonymous said...

La mia mamma è morta 10 anni fa, io sono Maria Ferdinanda Piva e più volte in passato ho cercato su internet testimonianze di questa storia

Anonymous said...

Anche le zie e gli zii sono morti, il cugino più anziano pure e gli altri in quegli anni erano veramente troppo piccoli per ricordare