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Friday, February 27, 2015

Il fracking e le lezioni dell'Algeria









L'Algeria lottizzata e petrolizzata

** grazie a Matilde Brunetti **


"We neither benefited from traditional gas nor from petrol proceeds. 
Shale gas will deprive us of the little good that we have left"

"But the people of the south, who have historically been 
marginalised and considered uneducated, 
are giving a lesson to the whole country in responsible citizenship and peaceful resistance—to a criminal project that is threatening their livelihoods."


"A friend of mine worked on the design of the the natural gas plant in southwest Algeria. One of the challenges of the plant was the removal of "heavy metals" from the tracking stream. Since the heavy metals did not affect plant safety (the metals only affect worker health), the owners did not spend the money to install the necessary equipment. I feel bad for the people of the region, not only are their resources being stolen, but 20 years from now the health affects of all of the heavy metals on the workers and their children will be a double whammy on their health."





E chi se lo aspettava che anche in Algeria ci sarebbe stata una cosi grande lotta contro le trivelle?

Siamo a Ain Salah, nel sud dell'Algeria, 45,000 abitanti e 750 chilometri dalla capitale Algiers, teatro di proteste e di attivismo, poi sparsisi a tutta la nazione. Ogni giorno e per due mesi, tanto che il presidente Abdelaziz Bouteflika non si fa piu vedere in pubblico da settimane.

La protagonista e' la compagnia petrolifera statale Sonatrach che dispensa concessioni come se fossero caramelle. Gli interessi in gioco qui sono giganteschi. Secondo l’agenzia americana Energy Information Administration (EIA), l’Algeria e' il terzo paese al mondo per disponibilità di shale gas, dopo Cina e l’Argentina. Parliamo di circa 600 trillioni di metri cubi di gas.

L'Algeria e' stata a lungo produttrice di petrolio e di gas convenzionale. Circa il 60% del proprio budget arriva dagli idrocarburi, che sono la gran parte di cio' che l'Algeria esporta. Con i petrodollari, l'Algeria ha mantenuto un regime sociale di relativo benessere con ampi sussidi governativi che le hanno permesso di evitare le proteste di massa dei paesi confinanti durante le primavere arabe. Semplicemente appena c'e' stato sentore di ribellione hanno mandato la polizia e poi hanno aumentato tutti i salari e i programmi per i giovani. E’ un metodo abbastanza comune qui – la gente protesta un po, si danno concessioni e si evitano problemi maggiori.

In tempi recenti pero' le riserve di gas da estrarre con metodi "normali" sono calate e quindi il governo ha ben pensato di passare allo shale gas, i cui giacimenti nel sud dell’Algeria fino a poco tempo fa non sarebbero stati accessibili. Si decide di investire 80 miliardi di dollari con 200 pozzi esplorativi, impianti petrolichimici e di raffinazione e con l'intento di tirare fuori circa 20 miliardi di metri cubi di gas all'anno. Ma siccome non hanno le tecnologie o il sapere, decidono di aprire agli investitori stranieri, con cui si "condivideranno" rischi, profitti e costi. A chi aprono? A Shell, Exxon Mobil, Total, Talisman Energy e ovviamente. la nostra beneamata ENI, che e' stata fra le prime a firmare gli accordi con la Sonatrach nel 2011. Hanno piu di quaranta concessioni in Algeria.

Alla fine di Dicembre 2014, la Sonatrach annuncia che i testi del fracking venti miglia a sud da Ain Salah. sono stati di successo e che si intende proseguire. Ora, di tutte le citta’ di Algeria, Ain Salah e’ quella dove piu’ di altre la gente e’ ritenuta pacifica, sottomessa e obbediente. Ma cosi' non e' stato per il fracking: sono subito scesi in piazza e non ne vogliono sapere di trivelle. E questo ha colto di gran sorpresa i politici e gli osservatori.

E perche' ad Ain Salah si oppongono alle trivelle? Per lo stesso motivo per cui ci opponiamo noi: perche' nonostante tutte le belle promesse di lavoro e progresso lo sanno anche nel sud dell'Algeria che le trivelle portano solo miseria ed inquinamento. In questo tempo di internet e di globalizzazione non si puo' negare l'evidenza.

A poco sono valsi i tentativi di "tuttapposto" del governo: e' tutto sicuro, siamo solo in fase di esplorazione, inizieremo nel 2020, e una "transizione" verso le rinnovabili e via con la fantasia. A rendere tutto ancora piu' difficile e' che qui siamo in un deserto, e l'acqua e' preziosa. Se la usano per il fracking e se la inquinano, cosa berranno le persone? Cosa useranno per l'agricoltura?

Ci sono anche vaghi sentimenti anticoloniali: ci si ricorda di essere stati sede di esperimenti nucleari e chimici della Francia, anche dopo l'indipendenza, e non se ne vogliono altri, questa volta di natura petrolifera. E poi fra le proponenti c’e’ la Total, ed il fracking e’ vietato in Francia per proteggere l’ambiente. L’ambiente di Algeria e’ meno importante?

Sebbene ad Ain Salah ci sia un tasso di analfabetismo ancora al 20%, la zona sia povera e poco sviluppata rispetto al resto del paese, la protesta e' stata forte e compatta. L'8 Febbraio 2015 il governo centrale ha annunciato che i programmi di fracking andranno avanti come inizialmente previsto. Ma invece di arrendersi, i residenti di Ain Salan e di altre citta’ hanno continuato a protestare finche’ il movimento, pacifico e composto, e’ diventato nazionale.

Questo enorme movimento di opione, partito da un popolo considerato marginale e poco istruito, sta dando prova di cittadinanza resposabile e pacifica al mondo intero, anche a noi italiani, che spesso piu’ che protestare su Facebook non facciamo. E’ un movimento di cittadini adulti.

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Note:

1. Tre le ultime concessioni ricevute dall'ENI, nel giugno 2014, : El Guefoul, Tinerkouk e Terfas, nel sud del paese. Sono valide per due anni e coprono circa 45,000 chilometri quadrati.  Quarantacinque mila chilometri quadrati! Secondo l'ENI "The three areas are considered of great interest and potential". Certo, per le loro tasche!

2. Dal primo gennaio ad oggi gli uffici pubblici, negozi e scuole sono state chiuse e la gente scende in piazza quasi quotidianamente, a volte anche al tasso di 1,500 persone alla volta. Le proteste si sono poi diffuse anche in altre citta' fra cui Algeris, Oran, Adrar, Tamanrasset, El Golea e Ouargla. Un ragazzo di 21 anni e' morto il giorno 4 Gennaio durante le proteste.  E nonostante i divieti di manifestare, la gente ha manifestato lo stesso.

3. L'8 Febbraio 2015 il governo centrale ha annunciato che i programmi di fracking andranno avanti come inizialmente previsto. Ma invece di arrendersi, i residenti di Ain Salan si sono spostati verso il campo di gas e hanno occupato il sito, bloccandone l'accesso e di fatto fermando il fracking. Si sono portati le tende e non fanno passare i camion.






Thursday, February 26, 2015

Obama vieta il Keystone e il Dakota access pipeline; Trump li risuscita







24 Gennaio 2017

Dopo sette anni di battaglie, nel 2015 finalmente Obama boccio' con un veto l'oledotto Keystone XL. Avrebbe dovuto portare il petrolio dal Canada verso sud, ad Houston.  Alla fine del suo mandato, la sua amministrazione boccio' anche un tratto dell'oledotto Dakota Access che avrebbe dovuto attraversare terre sacre agli indiani d'America.

Dopo quattro giorni di presidenza, Donald Trump annuncia che con un ordine esecutivo questi progetti saranno resuscitati.

Sia il Keystone XL che il Dakota Access pipelines saranno lungo circa 1800 km 

E' ovviamente un segno della cecita' ambientale di quest'uomo che veramente non riesce a vedere che il mondo fossile - petrolio e carbone - appartiene al passato e non certo al futuro.

E infatti, l'idea e' che questo oledotto "portera' lavoro".

Ma davvero?

O portera' denaro ai suoi amici? O facilitera' la vita della Exxon, di cui l'ex CEO, Rex Tillerson e' ora membro del suo governo?

Quello di cui non ci si rende conto (o forse ci si rende conto ma e' meglio non pensarci!) e' che una volta costruiti, questi oleodotti dovranno pur pompare, e questo da un lato aumentera' il ricshio di perdite, incidenti e mettera' a soqquadro habitat naturali e aree sacre agli indigeni; dall'altro sara' una specie di catalizzatore per un maggiore quantitativo di "petrolio" da estrarre dalle schifose tar sands del Canada.

Come dire: c'e' l'oledotto nuovo di zecca, *dobbiamo* continuare a pompare altrimenti che l'abbiamo costruito a fare? Una persona saggia, penserebbe di non voler piu nessun tipo di *nuova* infrastruttura petrolifera e di espandere, costruire, pensare *solo* infrastruttura green.

Fra l'altro abbiamo un enorme surplus di petrolio e i prezzi sono bassi perche' ormai le rinnovabili sono competitive con le fonte energetiche fossili.

Caro Donald: questo e' il 2017, non il 1985!

E poi la cosa assolutamente folle, e degna del miglior Silvio, e' che allo stesso tempo, Mr. Trump si descrive come un ambientalista! 
"I'm a very big person when it comes to the environment. I have received awards on the environment."
Ipse dixit.
Saranno quattro lunghi anni, in cui, temo, ci dovremmo vergognare da americani, di quest'uomo.

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26 Febbraio 2015
 
Finalmente e' arrivato il veto finale finale. Keystone XL non si fara'. Parola di presidente Obama. 

Dopo sette anni di lotta, eccoci.

Bye bye. 







Finalmente il presidente Obama ha messo il veto alla costruzione dell'oleodotto Keystone XL, dal Canada al Texas. E' la prima volta in cinque anni che usa il potere di veto ed e' la terza volta in tutto il suo mandato.

E’ questo un piccolo miracolo, considerato da dove si era partiti sei anni fa – l’opinione pubblica non ne sapeva niente e politicamente sembrava facilissimo costuirlo. Se si e’ arrivati qui e’ stato solo grazie all’incessante voce di popolo che con il tempo e’ diventata sempre piu forte, piu’ numerosa e piu’ esigente.

Ovviamente chi vuole questo oleodotto sono gli stessi che vogliono le trivelle, il fracking, e l'offshore drilling: i petrolieri prima di tutto e poi i repubblicani che gli sono amici, nonche' il governo del Canada. Fra questi, John Boehner, il portavoce repubblicano della Camera che ha ripetutamente detto che occorre "ignorare gli estremisti di sinistra e gli anarchisti" che lo oppongono. La propaganda e' sempre la stessa: creeremo "lavoro made in the USA", non ci sono problemi all'ambiente, serve per non essere dipendenti dall'Arabia Saudita ed altri vaneggiamenti che sono gli stessi che si ripetono di qua e di la dell'oceano.

In realta', almeno novanta fra i piu illustri economisti e scienziati del clima d'America hanno espresso la propria contrarieta' all'oleodotto della discordia, fra questi anche dei premi Nobel. Anche il New York Times aveva espresso la sua contrarieta', ricordando in un editoriale a nome di tutto il giornale che porre il veto a Keystone era la cosa giusta da fare.

Cosi come e' stato progettato dalla TransCanada, Keystone avrebbe dovuto essere lungo 3800 miglia, quasi 6000 chilometri. Buona parte di questo oleodotto e' stato gia' costruito, la parte che dall'Alberta, Canada arriva fino all'Illinois. Manca solo il pezzo finale, di 1200 miglia, quasi 2000 chilometri attraverso il Montana, South Dakota, Nebraska, Kansas, Oklahoma e finalmente in Texas. L'oleodotto trasporterebbe a regime 800,000 barili al giorno dal Canada al Golfo del Messico. Si calcola che dall'Alberta si possano estrarre almeno altri 170 miliardi di barili, e fino a dieci volte tanto secondo le previsione piu' rosee.

Perche' questo oleodotto e' meglio che non s'abbia da fare? Perche' significa che continueremo ad importare petrolio dalle Tar Sands del Canada, e quindi ad alimentare ancora l'ingordigia petrol-energetica di questo paese, prima di tutto. E poi dal Canada si estrae bitume, la sostanza petrolifera piu' schifosa e piu' inquinante che esista. E' questa una operazione che ha gia' causato inquinamento e distruzione, con disboscamenti, acqua ed aria inquinata, malattie ai residenti, e che contribuisce in modo determinante ai cambiamenti climatici. E questo lo non lo dice la D'Orsogna, lo dice un rapporto dello State Department degli USA in cui si sottolinea che le trivelle canadesi tirano fuori un quantitativo di gas serra molto superiore rispetto alle trivelle convenzionali, il 17% in piu'.

Ci sono poi le tribu' indigene, che vedrebbero l'oleodotto tagliarli le comunita' in due, o i ben 2500 acquiferi che Keystone XL attraversera’ con la potenzialita’ di perdite e di inquinamento, incluso l'Ogallala, uno dei piu' estesi di tutto il mondo. Alcuni indiani d'America sono cosi preoccupati degli impatti sociali ed ambientali dell'oleodotto, che la Rosebud Sioux Tribe ha dichiarato che la sua approvazione sarebbe considerata un atto di guerra.

La TransCanada nel 2011 aveva sparato che l'oledotto avrebbe creato circa 140,000 posti di lavoro complessivi. Nel gennaio del 2014 lo State Department invece concluse che l'oleodotto avrebbe creato circa 46,000 posti di lavoro per al massimo due anni durante la fase di costruzione. A regime, ci sarebbero stati solo ... 50 persone! L'oleodotto non avrebbe avuto che scarsissima influenza sul prezzo della benzina. E quindi anche qui, solo fumo negli occhi da parte dei petrolieri.

Ma quali che siano i calcoli sui barili, sui posti di lavoro, sul prezzo alla pompa, c'e' qualcosa di molto piu' drammatico e grande se uno guarda il "big picture". Il nostro pianeta non puo' piu' sopportare tutti questi stravolgimenti al clima, e sia Obama che Kerry a suo tempo hanno ricordato che i cambiamenti climatici causati dalle fonti fossili sono una minaccia reale alla stabilita' del mondo.

Tirare fuori altro bitume significa immettere altra CO2 in atmosfera. Tutti i principali climatologi ricordano che se vogliamo evitare il disastro climatico, i due terzi delle riserve di petrolio stimate dovrebbero restare nel sottosuolo. E siccome e' il peggio del peggio, le Tar Sands sono le prime a dover restare dove madre natura le ha messe – sotto la foresta.

Magari i canadesi le estrarranno lo stesso e manderanno il bitume in altri mercati, come la Cina. Ma il punto e' che senza l'oleodotto verso gli USA per i petrolieri sara' tutto piu' difficile, ingarbugliato e costoso, e siccome alla fine gli interessano solo i profitti, in questo senso il veto e' un grande passo in avanti. Senza contare che sarebbe un segnale politico e sociale molto forte per tutto il mondo, e per chiunque ami l’ambiente: yes, we can stop them.

Non sappiamo come andra’ a finire: i repubblicani probabilmente presenteranno altre proposte e modifiche al progetto. So che tutta la macchina informative che si e’ messa in atto non si fermera’ e spero che Obama abbia abbastanza acume politico e rispetto dell’ambiente nel perserverare con il suo no. E’ la storia che si ripete: se la democrazia funziona e se esigiamo che funzioni, il potere siamo noi.

Canada: primi al mondo per deforestazione - per tirare fuori bitume
















Quando si parla di deforestazione, si tende sempre a pensare all'Amazzonia. E invece, il re della deforestazione non e' il Brasile ma la civilissima Canada.  

Il gruppo internazionale Forest Watch stima che in soli 13 anni - dal 2000 al 2013 - siano scomparsi dal pianeta circa l'otto percento delle foreste vergini del mondo.  Si tratta di cento milioni di ettari,  tre volte l'area della Germania che scompare a causa della deforestazione. Questo significa che ogni giorno abbiamo distrutto 20 mila ettari di foresta.

Chi e' stato il principale responsabile della sega selvaggia?

I brasiliani? Gli indonesiani?  No. I Canadesi che sono responsabili della distruzione di circa un quinto degli alberi abbattuti nel mondo. Cioe' in Canada si tirano giu' ogni giorno 4 mila ettari di alberi.

Cioe' la bellezza di 40 chilometri quadrati in un solo giorno!

Secondi in classifica, i russi e terzi i brasiliani.

Lo studio e' stato esegiuto dall'Universita' del Maryland, assieme a Greenpeace e a  the World Resources Institute. Sono stati analizzati immagini da satellite per studiare e dinamiche delle foreste
dal 2000 al 2013.

Il tasso principale di deforestazione si e' avuto attorno alle Tar Sands del Canada, il lupus in fabula, attornoa Fort Mc Murray. Tirano giu' alberi per tirare fuori bitume e senza ripiantare niente.  Anche in altri posti si sono perse foreste - nel British Columbia, nell'Ontario, nel Quebec, ma l'Alberta e le sue Tar Sands che trasformano la foresta boreale in terra petrolizzata e' la regina della deforestazione.

Peter Lee of Forest Watch Canada ha questo commento sul perche' : There is no political will at federal or provincial levels for conserving primary forests.

E cioe' non gliene importa niente a nessuno. 

Monday, February 23, 2015

L'USGS su Science: la reiniezione da fracking e' causa dei terremoti nel midwest



I terremoti in Oklahoma
dal 1990 al 2014.


Le linee che oscillano sono i terremoti in California 
di intensita' superiore alla magnitudo 3.

La linea continua e' l'Oklahoma.



"The rise in seismic activity, especially in the central United States, 
is not the result of natural processes. "

"Deep injection of wastewater is the primary cause of the dramatic rise in detected earthquakes and the corresponding increase in seismic hazard in the central U.S."

Science, 20 Febbraio 2015
United States Geological Survey


Ne abbiamo parlato tante volte. Molte aree degli USA che fino a dieci, venti anni fa erano asismiche sono adesso interessate da una intensa attivita' sismica. Negli stati del MidWest americano e' tutto iniziato nel 2001 e da allora il numero di terremoto e' aumentato senza sosta. Nel 2014 ci sono stati piu terremoti in Oklahoma che in tutta la Calfornia, anche con intensita' elevata, in alcuni casi oltre alla magnitudo 5.

In questi giorni arriva un altra conferma ufficiale che si, le attivita' collegate al fracking sono la causa di questi terremoti. La conferma arriva sottoforma di un articolo scritto da un gruppo di vari esperti del U.S. Geological Survey, dell'University of Colorado, dell' Oklahoma Geological Survey and del Lawrence Berkeley National Laboratory.

Il loro lavoro lo dice chiaramente: in generale le attivita' sismiche non sono dovute ad elementi naturali ma sono causate dall'iniezione di fluidi usati nelle moderne attivita' di produzione energetica.
I fluidi sono quelli del fracking che aiutano a tirar fuori petrolio e gas da giacimenti finora inaccessibili, e che alla fine diventano acque di scarto.

L'articolo sottolinenea anche la necessita' di piu trasparenza per almeno cercare di mitigare i danni dovuto all'uso di fuidi di reiniezione.

Ma qui dissento, per quel che puo' valere. L'USGS dice di star preparando un "modello di rischio"
per i cittadini e per dimunire i rischi,  in cui si useranno i dati sulle estrazioni in corso (tempi, quantitativi) nella speranza di poter identificare i primi terremotini dovuti alla reiniezione e per evitare terremoti maggiori.

.. E magari non fare fracking e installare pannelli solari su tutti i tetti d'America?





Sunday, February 22, 2015

200 balene spiaggiate in Nuova Zelanda. Per colpa dell'airgun?












In Nuova Zelanda, il 13 Febbraio 2015, sono spiaggiate circa 200 balene in localita' Farewell Spit.

Di queste, cento sono morte subito e le altre sono state in qualche modo recuperate da esperti veterinari e biologi. Sessantasei sono tornate in mare. Le altre erano troppo confuse o lesionate. Il totale e' dunque di 134 balene morte o gravemente ferite. Fra queste balene femmina con i loro piccoli. L'intervista fatta agli operatori che si sono occupati di aiutare le balene e di eutanizzare quelle troppo ferite e' dura da leggere, ed e' qui.

Non e' la prima volta che a Farewell Spit arrivano balene spiaggiate, ma si e' sempre trattato di pochi esemplari. In tutta la Nuova Zelanda, la media di balene spiaggiate, in un anno intero e' di 85 esemplari. Qui, in un solo posto, ce ne sono state circa 200 in un periodo di pochi giorni, e prima ancora, nel Gennaio 2015 un altra cinquantina.

Perche'?

Non lo sappiamo e molte possono essere le cause: i cambiamenti climatici, la perdita dell'orientamento del capo del branco che ha portato con se tutti gli altri, l'inquinamento, magari urti con navi o malattie che si sono diffuse. Oppure il fatto che siamo in tempo di migrazioni per le balene e che quindi e' piu' probabile che si perdano. E in mancanza di altri studi, non sta certo a me dire esattamente cosa sia successo.

Pero'.

Pero', secondo Greenpeace Nuova Zelanda una possibilita' potrebbero essere le ispezioni sismiche che si stanno eseguendo al largo di Farewell Spit. Grazie a nuove leggi piu' petrol-amiche, le ispezioni sismiche in Nuova Zelanda sono facili: non ci vogliono speciali permessi marini e si deve solo presentare un "Marine Mammal Impact Assessment" che pero' non viene reso pubblico. 

Per la precisone, a fare airgun nell'area, e' la OMV New Zealand, che conosciamo anche noi in Europa.  La OMV e' austriaca, ha una concessione anche lei nei mari di Croazia, oltre ad essere la proprietaria di un pozzo di gas in Romania,  vicino al quale e' morto un bambino di nove anni qualche mese fa per esalazioni.

Questa OMV ha eseguito operazioni di airgun dalla nave Polarcus Alima fra il 7 ed il 18 Gennaio 2015 a circa 90 chilometri da Farewell Spit in una concessione chiamata Kaka, di circa 400 chilometri quadrati. Nello stesso periodo si sono spiaggiate 50 balene e ne sono morte circa 40. E poi, il 13 Febbraio le 200 di cui sopra.

Coincidenza? Potrebbe anche essere, ma una coincidenza veramente singolare.

Il gruppo di ambientalisti chiamato Climate Justice Taranaki  chiede infatti che venga lanciata una investigazione formale sulla causa degli spiaggiamenti prima che si possa andare avanti con altre ispezioni sismiche nel paese.

E infatti, a pochi chilometri da Farewell Spit intanto hanno gia' approvato airgun nel santuario marino nel North Island che era stato creato apposta per proteggere una rara specie di delfino. E a Wellington, arriva un altra nave sismica che intende eseguire indagini petrolifere al largo dello stetto di Cook per conto della Anadarko, quella che e' stata multata per 5 miliardi di dollari per inquinamento in passato. 

Neanche in Nuova Zelanda, il paese meno corrotto nel mondo.